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L'AMORE DI DIO PER GLI ESSERI UMANI E TENERO COME IL BACIO CHE MARIA DIEDE A GESU APPENA NACQUE Redazione di Loris Paglia

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venerdì 14 marzo 2014

Atlantide, aveva ragione Platone?


Già nell’antichità classica, specialmente negli scritti di Platone Timeo e Crizia, si favoleggiava d’una grande isola Atlantide, più grande dell’Asia e della Libia prese insieme, situata innanzi alle colonne d’Ercole. Era abitata da un popolo forte e guerriero, che una volta si mosse per invadere l’Europa e l’Asia, ma era stato ricacciato dai Greci comandati dagli Ateniesi, finché, poi, si inabissò nel mare con tutta l’isola.
Il nome di Atlantide è stato poi adottato dai geologi per indicare un ipotetico continente, che avrebbe occupato fino da tempi geologicamente remotissimi l’Atlantico settentrionale, e del quale la Groenlandia, le Azzorre e forse le Canarie sarebbero gli ultimi territori visibili oggi. 
L’ipotesi si appoggia da una parte sulla natura e sulla distribuzione dei sedimenti paleozoici nell’America del Nord e nella Scandinavia e sulla direzione delle catene montuose che si fronteggiano in queste regioni. Dall’altra, sulla forma del fondo attuale dell’oceano, con la sua vasta zona mediana relativamente poco profonda, accidentata, vulcanica, che si diparte appunto dalla Groenlandia.
Altri indizi sono la forma delle coste canadesi, irlandesi e bretoni, indicanti un rilievo recentemente sommerso; la distribuzione geografica di animali e piante attuali ed estinti, che accennerebbe a connessioni continentali e facilità di migrazione.

Lo sprofondamento sarebbe avvenuto progressivamente, in vari momenti, e gli ultimi sarebbero posteriori al Terziario. Tuttavia, l’opinione di taluni, che vorrebbero protrarre le fasi ultime dell’Atlantide a epoca antropozoica, fino a identificare gli ultimi brandelli dell’Atlantide dei geologi con quella di Platone, è fantastica e per nulla fondata. Se quella degli autori greci non è una pura leggenda, o per meglio dire, se a tale leggenda si vuole attribuire una base nella realtà, converrà supporre che le indicazioni di Platone circa l’estensione del paese, descritta dettagliatamente nel Crizia, si riferissero al regno, di cui l’isola scomparsa avrebbe rappresentato la capitale, e cercare quindi l’Atlantide sia nella Spagna meridionale, in un’isola posta alla foce del Guadalquivir, che alcuni autori identificano con l’emporio di Tartesso (per me, invece, da riferire a Tharros e altri territori costieri della Sardegna Occidentale) e con l’omerica isola dei Feaci (a mio avviso la Sardegna); sia nel nord dell’Africa e precisamente nella Tunisia, dove la sebkha di Melah, non lontana da Gabes, rappresenterebbe l’ultimo residuo del mare in cui sorgeva l’isola, come ho scrtitto nel mio libro Antichi Popoli del Mediterraneo – Capone Editore, nel 2011. Quest’ultima interpretazione, se conferma la presenza di elefanti selvatici nell’Atlantide, di cui è fatto cenno dagli autori, presuppone però profondi cambiamenti nel clima africano, cambiamenti che gli esperti accademici e i ricercatori più accreditati escludono possano essersi verificati in epoca tanto recente.
Secondo le dottrine dei moderni teosofi l’Atlantide sarebbe stato il teatro dell’evoluzione della quarta fra le razze madri dell’umanità attuale. Dai primi progenitori di questa, provenienti dal continente di Lemuria, ancor più antico di Atlantide e già in corso di sommersione, procedettero sette “sottorazze” (pur se le razze…non esistono), in seno alle quali si svolsero grandi civiltà. Ai cataclismi tellurici di Atlantide si accompagnarono grandi migrazioni di popoli sulle terre dei nuovi continenti, sicché dalle ultime sottorazze atlantidee derivarono i gruppi umani attuali. Pare che gli Atlantidi avessero naturalmente sviluppate facoltà occulte di chiaroveggenza e di dominio sulle forze sottili della natura, pertanto sono da considerarsi…stregoni.
C’è da aggiungere che per molti secoli la civiltà europea ha considerato l’Oceano Atlantico una barriera alla conoscenza del nostro pianeta, ma a partire dai viaggi di Cristoforo Colombo è stato sempre più conosciuto fino a divenire spazio di collegamento tra il continente europeo e quello americano.
Deriva il suo nome da Atlantis, un grandissimo oceano che si credeva circondasse interamente un’unica terra emersa. A lungo l’Atlantico ha rappresentato per l’Europa uno spazio sconosciuto e le Colonne d’Ercole la barriera più estrema, un limite mentale (nel senso tecnico del termine) che le esplorazioni spostarono geograficamente sempre più a occidente, fino appunto all’attuale Stretto di Gibilterra.

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