Si usa dire che ci troviamo sospesi tra l'infinitamente grande e l'infinitamente piccolo. Mettendo una parentesi all'infinitamente grande, gli scienziati sono ancora alla ricerca della “cosa” più piccola dell’universo, oltre la quale, bisogna necessariamente fermarsi. Ma esiste qualcosa del genere, oppure la materia (e lo spazio!) sono divisibili all’infinito?
Una domanda del genere se la pose un filosofo greco di nome Zenone, il quale elaborò un intrigante paradosso, secondo il quale, lo spazio è divisibile all’infinito, ragion per cui, in teoria, non è possibile raggiungere nessun luogo!
Dei quattro paradossi di Zenone che ci sono giunti, il più famoso è quello di Achille e la Tartaruga, ma il paradosso dello stadio è quello che meglio descrive l’idea del filosofo.
Egli afferma che se un uomo si trovasse all’estremità di uno stadio, non sarà mai in grado di raggiungere l’altra estremità, poiché, per raggiungere la meta, dovrà prima raggiungere la metà che mi separa da essa, ma prima di raggiungerla si dovrà raggiungere la metà della metà e così via senza quindi mai riuscire nemmeno ad iniziare la corsa.
A scuola ci hanno insegnato che un qualsiasi numero diviso per infinito (il famoso otto orizzontale) è uguale a zero. Quindi, se prendo un segmento qualsiasi e lo divido per infinito, avrò una serie infinita di punti di dimensione pari a zero.
Tuttavia, se sommo tutti gli infiniti punti di dimensione zero, avrò sempre come risultato zero (oltre al mal di testa che già sta sorgendo!). Che fine ha fatto il segmento?
I matematici hanno brillantemente risolto questo apparente paradosso, trovandosi completamente a loro agio con i numeri infiniti, così come le distanze e gli oggetti infinitamente piccoli. Le loro intuizioni vengono utilizzate in fisica per descrivere la struttura atomica della materia.
Ma in natura le cose sono molto più complicate di quanto si creda. Quando si cerca di descrivere qualcosa come il “punto” (un oggetto infinitamente piccolo), allora sorgono alcuni problemi difficili per la fisica.
Per questo motivo, tendono a diventare sempre più diffidenti rispetto al modello “puntiforme” e cominciano a chiedersi se in natura esista un oggetto talmente piccolo oltre il quale non è possibile andare, e anche se c’è una “porzione” di spazio più piccola possibile.
Dal momento che tutta la fisica delle particelle si basa sul concetto di elementi “puntiformi”, che si muovono in spazi infinitesimali, i fisici si trovano davanti a risultati senza senso quando applicano le equazioni classiche della fisica.
L’universo Matrioska
I primi a rendersi conto che la materia poteva essere divisa in strutture più piccole, probabilmente sono stati i cavernicoli nel momento in cui scheggiavano la selce per produrre armi e strumenti da taglio.
Più tardi, millenni dopo, un altro pensatore greco, Democrito, intuì che tutta la materia dell’universo era costituita da atomi, elementi microscopici indivisibili (dal greco ἄτομος – àtomos -, indivisibile, unione di ἄ – a – [alfa privativo] + τόμος – tómos – [pezzo, fragmento]).
Due millenni dopo, circa un secolo fa, J.J. Thomson riuscì ad individuare gli elettroni, elementi che compongono la struttura dell’atomo. Solo nel 1932, grazie al lavoro di Cockcroft e Walton, si capì che il nucleo atomico era a sua volta composto da altre sotto-strutture, i protoni e i neutroni.
Grazie all’introduzione di acceleratori di particelle sempre più potenti, i fisici scoprirono che i protoni e i neutroni erano, a loro volta, composti di particelle infinitesimali chiamate quark. Il famoso bosone di Higgs, la particella di Dio, appartiene proprio a questa ultima famiglia di particelle. Scopriamo così, che l’Universo è molto simile ad una Matrioska russa.
Al momento, però, tutti i tentavi di dividere ulteriormente i quark e gli elettroni, anche con la mastodontica potenza del LHC sono falliti. Gli elementi di base della materia dell’universo sembrerebbero essere “punti” delle dimensioni inferiori a 0,0000000000000000001 metri di diametro. Siamo giunti al capolinea?
Verso l’infinito
Però, c’è un però! Le forze naturali che tengono insieme la materia diventano più forti con il diminuire della distanza. Newton, per esempio, nella sua Legge di Gravitazione Universale, dimostrò che la forza di gravità diventa quattro volte più intensa se si dimezza la distanza tra due corpi.
Se si considerano due particelle come “punti”, è possibile rendere la loro distanza talmente minima da far diventare la forza che le tiene insieme praticamente infinita. Se così fosse, si lacererebbe il tessuto dello spazio, venendosi a generare una schiuma di buchi neri.
I fisici hanno eluso il problema con la creazione della meccanica quantistica, secondo la quale la materia può comportarsi indifferentemente come particelle o come onde.
Grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg, che non ci permette di sapere esattamente dove si trovi una particella, anche se questa fosse un punto, la sua posizione risulterebbe incerta e le equazioni descrittive somigliano ad una sorta di sfera sfocata. Problema risolto!
Beh, quasi! In realtà, al momento, risulta impossibile coniugare la meccanica quantistica con le leggi di gravità, e quando si tenta di descrivere forti campi gravitazionali come quelli generati dai buchi neri, capita ancora di ritrovarsi con equazioni prive di senso e con il crollo completo dello spazio-tempo.
La legge attualmente più certa della fisica è che la meccanica quantistica e la teoria della relatività di Einstein sono incompatibili. Uno degli obiettivi che i fisici si sono posti all’alba del terzo millennio è proprio quello di elaborare una Teoria del Tutto, nella quale vengano risolte le apparenti contraddizioni tra il modello quantistico e quello relativistico. Lo stesso Einstein spese gli ultimi anni della sua vita a cercare l’equazione dell’Universo.
Ad oggi, sono state proposte alcune soluzioni per tamponare il problema. La più ovvia, con sommo gusto di Zenone, è che esistano altre sub-particelle oltre ai quark. Se cosi fosse, non è da escludere che un giorno queste “cose” possano essere individuate grazie al LHC.
Ma i fisici teorici sono più propensi a credere che alla base della materia non ci siano particelle, ma “stringhe di energia”, cioè dei piccoli anelli di energia simili ad elastici. Secondo le intuizioni di alcuni fisici, queste “stringhe” avrebbero lunghezza infinita e una larghezza infinitamente piccola. Questa è la base della cosiddetta “Teoria delle stringhe“.
Le vibrazioni di queste stringhe danno vita a tutte le particelle fondamentali che conosciamo. A differenti vibrazioni, corrispondono diverse particelle. Fin qui tutto semplice, ma per spiegare tutte le particelle che conosciamo, gli elastici devono vibrare in molto modi diversi.
Una delle conseguenze teoriche della Teoria delle Stringhe è che è necessario uno spazio a 11 dimensioni: su, giù, destra, sinistra, “trasversale” e altri sette modi! Alcuni esperimenti che si stanno conducendo al LHC sono alla ricerca della prova che “qualcosa” possa spostarsi “trasversalmente”.
Ma forse la ricerca è destinata a spingersi oltre. Piuttosto che cercare il “coso” più piccolo dell’universo, i fisici sono alla ricerca della porzione di spazio più piccola concepibile. Se l’universo fosse composto da tanti piccoli “granelli”, allora il nostro problema potrebbe essere facilmente risolto, poiché la distanza tra due particelle non potrebbe mai essere inferiore a quelle delle dimensioni della particella stessa.
Ora che il nostro mal di testa ha raggiunto l’apice della sua intensità, dobbiamo necessariamente fermarci, perché non sarà la nostra immaginazione a darci delle risposte, ma gli esperimenti di persone abituate ai dolori di capo. Forse, una delle migliori conquiste dell’umanità è il metodo scientifico, il quale ci permette di porci domande come “Ma quanto è piccolo l’Universo?”. Non male per dei cavernicoli!
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